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Non bastano più stipendi competitivi e benefit aziendali per rendere un posto di lavoro davvero attrattivo. Chi entra oggi nel mercato del lavoro guarda oltre la busta paga: cerca equilibrio tra vita privata e professionale, crescita personale, rispetto e relazioni sane con i superiori. Ma le imprese italiane sono davvero pronte a rispondere a queste nuove aspettative?
A dare una risposta è la classifica “Best Employers 2026”, realizzata da Statista, che ogni anno misura il grado di soddisfazione dei dipendenti nelle principali aziende del Paese. E il verdetto sorprende: dopo anni di dominio delle multinazionali tecnologiche, il podio torna a parlare italiano.
Lavazza, Sorgenia e Granarolo conquistano le prime tre posizioni, seguite da realtà come l’Istituto Nazionale dei Tumori, EssilorLuxottica, Bialetti e Fratelli Carli. Tra le eccellenze figura anche un orgoglio abruzzese: De Cecco, che si piazza al 27° posto nazionale, confermando come anche nelle imprese radicate nel territorio si possa costruire un ambiente di lavoro di qualità.
Un’indagine che racconta il Paese reale
Giunta alla sua sesta edizione, la ricerca di Statista ha raccolto oltre 300mila risposte anonime da lavoratori di aziende con più di 250 dipendenti. L’obiettivo è chiaro: scoprire dove si lavora meglio, andando oltre i numeri di stipendio e benefit per analizzare clima interno, carichi di lavoro, crescita professionale, leadership e bilanciamento vita-lavoro.
Una delle novità di quest’anno è l’approfondimento dedicato al lavoro femminile, con domande su parità di opportunità e possibilità di negoziare la retribuzione. Il risultato? Un quadro più realistico, che mostra un cambiamento di sensibilità anche tra le imprese italiane.
Le big tech, un tempo dominatrici assolute, sembrano oggi più distanti dai bisogni reali dei lavoratori, mentre le aziende italiane puntano su modelli più umani e partecipativi. I settori più rappresentati nella top 450 sono quello del commercio al dettaglio e quello alimentare, a conferma che il Made in Italy sa ancora attrarre e trattenere talenti.
Il modello De Cecco: innovazione con radici solide
A Fara San Martino, piccolo borgo alle pendici della Maiella, nasce quasi due secoli fa la storia di De Cecco, oggi tra i maggiori produttori di pasta al mondo. Ma nonostante la crescita internazionale e i 1.300 dipendenti, l’azienda ha scelto di restare fedele al territorio e alle persone.
Il 98% di stabilità occupazionale e il 38% delle posizioni di responsabilità assegnate a personale interno raccontano un modello aziendale fondato su fiducia e valorizzazione del merito. Un approccio che si riflette anche nel welfare: ogni anno mezzo milione di euro è destinato a servizi per i dipendenti — sanità integrativa, mensa aziendale, contributi scolastici, supporto psicologico e orari flessibili.
In De Cecco si cresce, ma senza rinunciare alla propria vita. «Chi entra qui entra in una famiglia», raccontano i dipendenti, e non è solo una frase fatta: è una filosofia d’impresa.
Giovani, futuro e formazione: la chiave del cambiamento
Secondo Joelle Gallesi, managing director di Hunters Group, il futuro del lavoro si gioca su tre parole chiave: disingaggio, progetto e formazione.
«I giovani vogliono sentirsi parte di qualcosa — spiega —, non basta più offrire benefit o uffici accattivanti. Serve un percorso di crescita chiaro, una formazione continua e la possibilità di incidere sui progetti aziendali».
Gallesi sottolinea come le risorse umane siano oggi al centro delle strategie d’impresa: «Perdere talenti significa mettere a rischio il business. Le nuove generazioni sono meno disposte a restare vent’anni nello stesso ruolo, e più attente a trovare un equilibrio tra carriera e vita personale».
Conclusione
Il messaggio che arriva dal “Best Employers 2026” è chiaro: lavorare bene in Italia si può, se le imprese sanno ascoltare e valorizzare le persone. Non serve essere una multinazionale per offrire qualità, crescita e benessere. A volte basta la forza di un territorio, la cultura di una famiglia e la volontà di guardare al futuro con occhi nuovi.
A dare una risposta è la classifica “Best Employers 2026”, realizzata da Statista, che ogni anno misura il grado di soddisfazione dei dipendenti nelle principali aziende del Paese. E il verdetto sorprende: dopo anni di dominio delle multinazionali tecnologiche, il podio torna a parlare italiano.
Lavazza, Sorgenia e Granarolo conquistano le prime tre posizioni, seguite da realtà come l’Istituto Nazionale dei Tumori, EssilorLuxottica, Bialetti e Fratelli Carli. Tra le eccellenze figura anche un orgoglio abruzzese: De Cecco, che si piazza al 27° posto nazionale, confermando come anche nelle imprese radicate nel territorio si possa costruire un ambiente di lavoro di qualità.
Un’indagine che racconta il Paese reale
Giunta alla sua sesta edizione, la ricerca di Statista ha raccolto oltre 300mila risposte anonime da lavoratori di aziende con più di 250 dipendenti. L’obiettivo è chiaro: scoprire dove si lavora meglio, andando oltre i numeri di stipendio e benefit per analizzare clima interno, carichi di lavoro, crescita professionale, leadership e bilanciamento vita-lavoro.
Una delle novità di quest’anno è l’approfondimento dedicato al lavoro femminile, con domande su parità di opportunità e possibilità di negoziare la retribuzione. Il risultato? Un quadro più realistico, che mostra un cambiamento di sensibilità anche tra le imprese italiane.
Le big tech, un tempo dominatrici assolute, sembrano oggi più distanti dai bisogni reali dei lavoratori, mentre le aziende italiane puntano su modelli più umani e partecipativi. I settori più rappresentati nella top 450 sono quello del commercio al dettaglio e quello alimentare, a conferma che il Made in Italy sa ancora attrarre e trattenere talenti.
Il modello De Cecco: innovazione con radici solide
A Fara San Martino, piccolo borgo alle pendici della Maiella, nasce quasi due secoli fa la storia di De Cecco, oggi tra i maggiori produttori di pasta al mondo. Ma nonostante la crescita internazionale e i 1.300 dipendenti, l’azienda ha scelto di restare fedele al territorio e alle persone.
Il 98% di stabilità occupazionale e il 38% delle posizioni di responsabilità assegnate a personale interno raccontano un modello aziendale fondato su fiducia e valorizzazione del merito. Un approccio che si riflette anche nel welfare: ogni anno mezzo milione di euro è destinato a servizi per i dipendenti — sanità integrativa, mensa aziendale, contributi scolastici, supporto psicologico e orari flessibili.
In De Cecco si cresce, ma senza rinunciare alla propria vita. «Chi entra qui entra in una famiglia», raccontano i dipendenti, e non è solo una frase fatta: è una filosofia d’impresa.
Giovani, futuro e formazione: la chiave del cambiamento
Secondo Joelle Gallesi, managing director di Hunters Group, il futuro del lavoro si gioca su tre parole chiave: disingaggio, progetto e formazione.
«I giovani vogliono sentirsi parte di qualcosa — spiega —, non basta più offrire benefit o uffici accattivanti. Serve un percorso di crescita chiaro, una formazione continua e la possibilità di incidere sui progetti aziendali».
Gallesi sottolinea come le risorse umane siano oggi al centro delle strategie d’impresa: «Perdere talenti significa mettere a rischio il business. Le nuove generazioni sono meno disposte a restare vent’anni nello stesso ruolo, e più attente a trovare un equilibrio tra carriera e vita personale».
Conclusione
Il messaggio che arriva dal “Best Employers 2026” è chiaro: lavorare bene in Italia si può, se le imprese sanno ascoltare e valorizzare le persone. Non serve essere una multinazionale per offrire qualità, crescita e benessere. A volte basta la forza di un territorio, la cultura di una famiglia e la volontà di guardare al futuro con occhi nuovi.