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È stato rinviato al 17 novembre il processo d’appello bis per la strage di Rigopiano, la tragedia che il 18 gennaio 2017 travolse l’hotel di lusso incastonato tra i monti del Gran Sasso, causando la morte di 29 persone. Tra le vittime anche sei marchigiani: Marco Vagnarelli e Paola Tomassini di Castignano, Emanuele Bonifazi di Pioraco, Marco Tanda di Castelraimondo, Domenico Di Michelangelo e la moglie Marina Serraiocco di Osimo.
In aula, i familiari delle vittime hanno assistito in silenzio, indossando magliette bianche con impressi i volti dei propri cari. Un gesto semplice ma potente, per ricordare e per chiedere ancora una volta giustizia.
Il nuovo processo è stato disposto dopo la decisione della Corte di Cassazione, che il 3 dicembre scorso ha ordinato una revisione parziale della sentenza di secondo grado. Alla sbarra dieci imputati: sei funzionari della Regione Abruzzo, accusati di disastro colposo, e quattro persone – tra cui l’ex sindaco di Farindola – chiamate a rispondere di omicidio colposo.
Quel giorno di gennaio, la terra tremò più volte nell’Aquilano: la prima scossa, di magnitudo 5.1, arrivò alle 10.25, seguita da altre tre ancora più forti. Poco prima delle 17, una valanga immensa di neve e detriti si staccò dal monte, travolgendo l’hotel in pochi istanti e cancellando tutto ciò che incontrava.
Il silenzio calò sulla montagna. Alle 22 una colonna di soccorsi tentò di risalire verso l’albergo, impiegando quattro ore di marcia estenuante per raggiungere le macerie, dove trovarono vivi i due superstiti che avevano dato l’allarme. All’alba arrivarono gli elicotteri e iniziarono le ricerche: la prima vittima venne estratta alle 9.30 del mattino successivo. Solo a mezzogiorno, dopo venti ore di sforzi ininterrotti, la colonna dei mezzi raggiunse il resort.
Per giorni, i soccorritori scavarono senza sosta tra neve, detriti e silenzio, mentre l’Italia seguiva col fiato sospeso ogni piccolo segnale di vita. Alla fine, il bilancio fu drammatico: 29 morti e 11 sopravvissuti.
Oggi, a otto anni di distanza, la ferita di Rigopiano resta aperta. “Vogliamo solo giustizia per chi non c’è più”, ripetono i familiari, che continuano a chiedere verità e responsabilità per una tragedia che non può essere dimenticata.
In aula, i familiari delle vittime hanno assistito in silenzio, indossando magliette bianche con impressi i volti dei propri cari. Un gesto semplice ma potente, per ricordare e per chiedere ancora una volta giustizia.
Il nuovo processo è stato disposto dopo la decisione della Corte di Cassazione, che il 3 dicembre scorso ha ordinato una revisione parziale della sentenza di secondo grado. Alla sbarra dieci imputati: sei funzionari della Regione Abruzzo, accusati di disastro colposo, e quattro persone – tra cui l’ex sindaco di Farindola – chiamate a rispondere di omicidio colposo.
Quel giorno di gennaio, la terra tremò più volte nell’Aquilano: la prima scossa, di magnitudo 5.1, arrivò alle 10.25, seguita da altre tre ancora più forti. Poco prima delle 17, una valanga immensa di neve e detriti si staccò dal monte, travolgendo l’hotel in pochi istanti e cancellando tutto ciò che incontrava.
Il silenzio calò sulla montagna. Alle 22 una colonna di soccorsi tentò di risalire verso l’albergo, impiegando quattro ore di marcia estenuante per raggiungere le macerie, dove trovarono vivi i due superstiti che avevano dato l’allarme. All’alba arrivarono gli elicotteri e iniziarono le ricerche: la prima vittima venne estratta alle 9.30 del mattino successivo. Solo a mezzogiorno, dopo venti ore di sforzi ininterrotti, la colonna dei mezzi raggiunse il resort.
Per giorni, i soccorritori scavarono senza sosta tra neve, detriti e silenzio, mentre l’Italia seguiva col fiato sospeso ogni piccolo segnale di vita. Alla fine, il bilancio fu drammatico: 29 morti e 11 sopravvissuti.
Oggi, a otto anni di distanza, la ferita di Rigopiano resta aperta. “Vogliamo solo giustizia per chi non c’è più”, ripetono i familiari, che continuano a chiedere verità e responsabilità per una tragedia che non può essere dimenticata.