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Settanta condanne e poche assoluzioni hanno segnato la chiusura del procedimento legato all’operazione “Eureka”, l’inchiesta che dal 2019 ha messo nel mirino uomini e fiancheggiatori della ’ndrangheta. Le pene decise dal gup di Reggio Calabria, Antonino Foti, arrivano fino a vent’anni di reclusione. Tra le sentenze spicca quella a 18 anni inflitta a Massimo Ballone, originario di Pescara, considerato referente affidabile dei clan calabresi nell’area adriatica.
Il procedimento ha preso corpo grazie alle indagini coordinate dalla Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria, all’epoca guidata da Giovanni Bombardieri. Centrale, nel dibattimento, è stata la testimonianza del collaboratore di giustizia Vincenzo Pasquino, catturato in Sudamerica insieme al boss Rocco Morabito, detto “u tamunga”, figura di primo piano nel traffico internazionale di stupefacenti.
Nonostante la gravità delle accuse, il tribunale ha escluso per tutti l’imputazione di associazione mafiosa, confermando però la solidità del quadro probatorio su traffici di droga e legami con i cartelli sudamericani. L’inchiesta ha messo in luce come la rete calabrese fosse riuscita a radicarsi anche oltre i confini nazionali: in Belgio, a Genk, operava una cellula dei Nirta-Strangio, incaricata di gestire i carichi di cocaina che arrivavano nei porti di Anversa, Rotterdam e Amsterdam, per poi essere smistati in tutta Europa.
La pubblica accusa, rappresentata dal procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo, ha evidenziato il ruolo strategico delle cosche calabresi nei traffici internazionali e il radicamento in più Paesi.
Tra i nomi più rilevanti dei condannati resta quello di Massimo Ballone, indicato come punto di riferimento per le cosche a Pescara, ora destinato a scontare 18 anni di carcere.